top of page
Cerca
  • Immagine del redattoreEugenio Flajani Galli

Gli Italiani e la “Coronaestate”

É stata un’estate che ci ricorderemo per sempre. Un’estate strana, diversa, molto più spartana e malinconica rispetto alle precedenti. Un’estate che ci ricorda la caducità della vita, il nostro essere “come d’autunno sugli alberi le foglie”, nonostante non ci sia alcuna guerra in atto. Infatti c’è di peggio: una pandemia. Un’emergenza sanitaria scatenata da una forma di vita così elementare − un virus − che per molti ricercatori non può nemmeno essere considerata una forma di vita vera e propria, poichè i virus non sono neanche in grado di riprodursi autonomamente. Eppure siamo di fronte a qualcosa che esula dalle norme umane: se ad esempio una guerra si può prevedere, iniziare e terminare come si vuole (poichè appunto dipende dalle norme umane), una pandemia non si può nè prevedere, nè può cominciare e terminare quando si vuole. E a riguardo la storia ci insegna che le epidemie possono essere anche peggio delle guerre, poichè tante volte le seconde sono finite proprio a causa delle prime. Dunque oggi siamo tutti sotto scacco di un virus nato in Cina che, per effetto della iperglobalizzazione, ha dato vita a una pandemia. Chi si illudeva che dopo essere stati a casa per un paio di mesi a colorare arcobaleni e appendere striscioni si avrebbe avuto un’estate normale, di una rasserenante e scontata normalità come tutte le altre, si illudeva. Ma già è stato tanto che siamo potuti uscire di casa senza autocertificazione e senza troppi vincoli, che le attività commerciali hanno potuto riaprire (ma ovviamente solo quelle che si sono salvate dagli effetti disastrosi che la pandemia ha avuto sull’economia), che qualche manifestazione e qualche evento ben riuscito ci sono stati, ma se già a fine agosto è risalita la curva dei contagi, ciò dimostra che l’estate è stata vissuta con (fin) troppa leggerezza, così tanto plasmata da un’insofferenza e un edonismo tipici della società attuale, che cerca di farci vivere tutti come bambinoni viziati a cui tutto è dovuto. Perchè dire di no a una passeggiata serale sulle strade strapiene del corso, gomito a gomito, se fuori fa fresco? Perchè dire di no a una bella rimpatriata con amici e parenti su una tavolata strapiena mentre si cerca di stringersi ancora di più per entrare tutti nel selfie di rito? Perchè dire di no ai weekend passati − da giugno fino a metà agosto − in discoteche strapiene, con prezzi inflazionati (ma con ospiti dal cachet inferiore rispetto agli altri anni), tanto per bere cocktail annacquati a caro prezzo o per apparire “fighi” laddove si prenda il tavolo e dunque si buttino centinaia e centinaia di euro per bottiglie di Grey Goose, Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Dom Pérignon a prezzi anche quintuplicati rispetto al loro reale valore? La società dei bambinoni viziati, a cui tutto è concesso, a cui tutto è dovuto e nessun divieto può essere imposto, nella stagione più edonistica dell’anno, non può certo farsi fermare da un evento come la pandemia, tant’è che in giro se n’è vista sempre tanta di gente, anche troppa. Gente che è uscita per il semplice gusto di uscire, non per chissà cosa. In un’estate con pochi eventi in circolazione, le occasioni per uscire e per alleggerire il portafoglio sono state limitate, monotone, ripetitive, ma allo stesso modo gettonatissime. Routine di uscita tipiche sono state il format “cena + caffettino o liquorino al bar + gelatino o yogurtino tanto per concludere in grande la seratona” o “aperitivo o pizzetta in centro + giro per i mercatini + sosta al luna park al fine di placare le lagnanze dei pargoli”. Non che sia vietato uscire e, obiettivamente, è assurdo poter pensare che dopo mesi di lockdown si possa passare anche l’estate dentro casa, ma ha senso la necessità di uscire sempre e comunque, ogni pomeriggio, ogni sera, e dover necessariamente incontrare tutti i parenti, tutti gli amici, tutti i colleghi, eccetera, eccetera, come se fosse un anno pari a quelli passati? Per poi fare cosa, nello specifico? Godere dell’attenzione e della compagnia di altre persone con cui poter chiacchierare del più e del meno, di cose di attualità come...il coronavirus? Un virus di cui sicuramente si parlerà ancora a lungo se permane tanta gente che crea assembramenti per ragioni futili, senza considerare che gli eventi − anche di qualità e con artisti di livello − ci sono anche stati questa estate, pure in Abruzzo. Eventi a cui si accedeva previa prenotazione e registrazione e con posti distanziati. Dunque l’alternativa allo stare dentro casa c’è stata eccome, ma il governo non ha fatto i conti con la massa di persone − in particolar modo giovanissimi − i quali, annoiati da mesi e mesi di nullafacenza a causa anche della chiusura delle scuole, hanno deciso di uscire ogni sera a creare assembramenti a ogni ora e in ogni luogo: locali, spiagge, parchi, strade, piazze...persino in acqua. Verrebbe da chiedersi se questa ricerca ossessiva del gruppo possa dipendere da un’assenza di valore a livello individuale, che pertanto porta i teenagers di oggi a dover stare sempre in gruppo al fine di valere di più per una semplice somma aritmetica di presenze. Ma, in tutto ciò, il governo cosa ha fatto a riguardo? É stato a guardare. Ha tollerato assembramenti in ogni dove affidandosi al puro e semplice senso civico di persone che, sia per ragioni di età, sia per ragioni di mancata istruzione (dato che è da marzo che le scuole sono chiuse), questo senso civico non l’hanno ancora acquisito. I luoghi più prototipici ove si può assistere ad assembramenti di giovani − le discoteche − sono state chiuse solo dopo Ferragosto, dunque agli sgoccioli della stagione estiva. Praticamente, con il maltempo che si è verificato questa estate a giugno e luglio, si può dire che il meteo abbia fatto saltare più serate in discoteca di quante ne abbia fatte saltare il governo! E il sindacato delle discoteche − SILB-Fipe − invece di ringraziare la divina provvidenza per aver potuto fare serate per quasi tutta l’estate, ha preso questa chiusura forzata di meno di un mese come un accanimento nei confronti di una corporazione, sfociando nel solito vittimismo di facciata. Ma forse hanno anche ragione i gestori delle discoteche a sostenere che il governo non le conosce bene: infatti il governo delle Baleari − che al contrario le conosce benissimo dato che lì risiedono le discoteche più famose al mondo − ha proprio deciso che le discoteche non dovessero aprire questa estate, poichè è ragionevolmente impossibile poter pretendere il rispetto di regole da gente che va a fare serata tanto per ubriacarsi, drogarsi e poi mettersi alla guida in questo stato (ovviamente non tutti, ma buona parte sì), ovvero è assurdo poter pensare che persone che già assumono comportamenti così pericolosi per la salute e l’incolumità propria e degli altri possano poi preoccuparsi del coronavirus, che oltretutto è molto meno pericoloso dell’abuso di sostanze psicotrope e di tutte le condotte che ne conseguono. E le discoteche di Ibiza come hanno reagito? Nel modo opposto rispetto alle ben meno note “cugine” italiane: prendendo tale norma come un provvedimento pesante ma necessario, e che pertanto va accettato. Ad esempio l’Ushuaïa, una tra le discoteche più famose al mondo, nel comunicato con cui faceva presente la chiusura per questa stagione, ha sottolineato il fatto che fosse una decisione drastica ma allo stesso tempo necessaria, poichè era l’unica ragionevolmente possibile. In Italia invece cosa è successo? Qualsiasi locale ha potuto organizzare qualsiasi serata possibile e immaginabile, con inevitabile rischio di assembramenti e conseguente impennata di contagi, che ora stanno tornando a superare il migliaio al dì. E le famiglie dove sono? Sanno cosa fanno i loro figli? Ma più che altro, i genitori di oggi − magari per evitare di avere sensi di colpa − tendono spesso a giustificare i figli con discorsi del genere “sono ragazzi, è ovvio che si vogliono divertire”, “siamo stati tutti giovani una volta”.... E sicuramente siamo tutti stati giovani una volta, ma le generazioni precedenti non erano così. Almeno erano generazioni che un minimo di responsabilità l’avevano, dei sogni li avevano. Non vivevano nel “qui ed ora” delle storie e degli stati che dopo un giorno svaniscono effimeramente, non vivevano schiavi dei mass media e di sedicenti influencer, non vivevano con l’idea che l’apparenza fosse tutto. Un giovane di un’altra generazione (ad esempio, in linea di massima, vissuto negli anni ’70, così come negli anni ’80, ’90 e ’00) si sarebbe forse pure messo a rischio per poter uscire e partecipare a qualche evento a cui veramente tiene, ad esempio il concerto della sua vita del suo gruppo preferito...ma invece i giovani di oggi per quale motivo escono? Per quale motivo si mettono a rischio? Cosa c’è nell’altro piatto della bilancia? Il nulla, il nulla più assoluto. E non potrebbe essere altrimenti, poichè questa estate ha visto la cancellazione delle performance di quasi tutti gli artisti di fama internazionale che si sarebbero dovuti esibire nelle nostre città (Billie Eilish a Milano, i Red Hot Chili Peppers a Firenze, Kendrick Lamar a Roma, Lana Del Rey a Verona...); ciononostante i grandi eventi sono stati rimpiazzati da uscite balorde i cui fatti di cronaca recente ne sono la prova: giovani che si ubriacano, si drogano, fanno schiamazzi e assembramenti ovunque, causano risse, atti vandalici e via dicendo. In tutto ciò sorge spontanea una domanda: come sarebbe stata questa estate senza coronavirus? Sicuramente meglio, ma sarebbe stata, appunto, la solita estate come tante, con quella solita normalità e la solita spensieratezza di tanto in tanto interrotta da qualche problema, ma di sicuro inferiore rispetto a quello della pandemia. Ma si può pretendere che la normalità duri per sempre e vada avanti così ogni anno? Gli imprevisti rientrano in quella che è la vita e, se si vuole vivere, si devono anche accettare.

9 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

L'influenza dell'inconscio sulla sessualità umana

Chiunque abbia visto Eyes Wide Shut non può aver dimenticato la fatidica sentenza che chiude il film, pronunciata dalla protagonista Nicole Kidman: “Dobbiamo scopare”. Se questa è forse l’unica battut

bottom of page